VENTO DEL NORD
24.07.2008

Càpita che il mio numero di cellulare finisca con una certa facilità in mano a gente sconosciuta, o velocemente dimenticata all’indomani di un incontro di lavoro. Quindi non mi stupisco quando, un sabato mattina, il telefonino che squilla mostra un numero con prefisso inconsueto. “Hallo?” dice una voce maschile - “Sììì?” rispondo io, con cantilena da “ufficio pubblico”, tanto per chiarire che mi stanno chiamando al telefonino privato in un giorno “off”. La voce, a differenza della mia, trasuda entusiasmo, e in un inglese un po’ gutturale mi spiega che provenendo dalla Toscana, in direzione Piemonte, si vorrebbe far tappa da queste parti per acquistare, direttamente in azienda, i prodotti di Carpi. Come un flash mi attraversa la coscienza il fatto che, fino a qualche anno fa, il viaggiatore straniero-tipo doveva “fare poma” nel triangolo Roma-Firenze-Venezia, per poter vantare “un viaggio in Italia”; ora, se vieni in Italia e non hai vagato tra le colline del brunello, comprato qualche prodotto che sia almeno un “presidio Slow Food” e non hai acquistato direttamente in azienda qualche capo o capetto di moda, è meglio che non lo dici in giro. “Of course” - gli dico, passando rapidamente dal tono “servizio pubblico” a quello “siamo pronti a tutto”. Concordiamo per la tarda mattinata, al casello di Carpi (listen: C A R P I, Charlie Alfa Roger Public Idaho, perché non siamo poi così famosi ..). Con l’approssimarsi dell’ora pattuita, ricevo una telefonata che mi preannuncia ritardo, causa “heavy traffic” sulla Firenze - Bologna. Non ho difficoltà a credergli, quindi lo rassicuro dicendo che gli prenoterò un ristorante e porterò direttamente lì ciò che vuole comprare. Opto per un posto vicino all’autostrada e mi accingo a spiegargli come raggiungerlo.
Ma deve trattarsi di “homo tecnologicus”, perché rifiuta le indicazioni: “I’ve got the GPS”. Meglio, non sono mai stata brava a darle.
Quando l’orologio segna l’1 e 20 e il termometro 38°, un’altra telefonata mi annuncia che l’arrivo a destinazione è previsto per le 13,46 (proprio così, il GPS non lascia spazio all’approssimazione). Mentre aspetto nel parcheggio della Gabarda, boccheggiando sotto un albero e vedendo sfumare definitivamente il mio pranzo in famiglia, un’ulteriore telefonata mi avverte che il navigatore non trova la via. Per forza: noi Carlo Marx lo scriviamo con la C, mica con la K ! Chiarito l’equivoco, e arrivate intanto le 14:15, vado ad implorare il cuoco che tenga aperte le mense. Finalmente arriva una macchina, e non ho dubbi che si tratti di “lui”: da una Volvo immensa si apre uno sportello che butta fuori qualche metro cubo di aria fredda a 18°, tanto che per qualche momento si sta bene in tutta l’area circostante. Poi scende un essere in braghe corte che appartiene senz’altro ad un ceppo umano: altissimo, immenso, occhi come due ghiaccioli all’anice (ai coloranti artificiali) faccia scolpita e capelli lunghi fino alle scapole. Un gigante uscito dal Valhalla. Dall’altra portiera scende una bellezza bionda e giunonica, anche lei “tanta”. Sembrano entrambi moltiplicati per 1,8 da un congegno dilatante, rispetto alle misure nostrane. Lui norvegese, lei svedese. Completata la transazione, mi accingo ad accompagnarli dentro al locale, ma loro esitano accanto alla macchina. Poi estraggono dal sedile di dietro, con delicatezza insospettabile, un bambino. Il figlio di Odino e Valchiria promette già di diventare Thor: è immenso anche lui, e nonostante abbia solo 7 mesi, come mi informa il padre, dubito che riuscirei a reggerlo in braccio. La mamma mi dice con orgoglio che pesa 15 chili e si nutre solo con il suo latte. Anzi, adesso è proprio l’ora di allattarlo, e così dicendo accenna ad allentare la camicetta, da cui occhieggiano seni bianchissimi e gloriosi come tutto il resto. A questo punto, decido che non è il caso di assistere alla scena dell’allattamento in pubblico per il quale, come per altre pratiche “naturali”, i nordici non nutrono ovviamente il minimo pudore. Li lascio al ristorante e me ne vado, cercando di immaginare lo scalpore che susciteranno.
Passando di fianco alla loro macchina vengo investita, come quando si entra in un bosco, da una nuvola di fresco. Cerco di portarne un po’ con me, sotto il sole giaguaro di luglio a Carpi.

 
 
 
 
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