TRAINING DAY (1)
7.1.2010

“Guarda che devi fare qualcosa, siamo tutte un po’ preoccupate”
Ma vaffangiro.
“Spiegami solo cosa ti costa provarci”.
Grrrrrrrrrrrrrrr.
Non si sta parlando del mio peso (mostruosamente levitato durante le abbuffate natalizie), anche se, se io fossi nelle Pùple, mi preoccuperei più di questo che non della mia solita cattiveria post natalizia e pre veglione.. In effetti, A fine dicembre il mio PH raggiunge livelli di acidità altissimi, purissimi e levissimi, un po’ come se la forzata allegria del Natale (che io però AMO) mi facesse curiosamente da detonatore e scatenasse i miei peggiori istinti nel momento in cui Natale è passato: Babbo Natale ha portato i suoi doni e allora scateniamo l’inferno.
In due parole, potrei corrodere una monetina da 5 EuroCent a distanza, neanche fossi una Coca Cola.
Di qui la telefonata allarmistica e timorosa della Pùpla “Grillo Parlante” che è stata brutalmente da me redarguita per avermi telefonato nel bel mezzo della mia sit com preferita. La poverina ha preso coraggio e, invece che chiudermi la telefonata in faccia, tanto mi conosce bene, ha pensato bene di mettermi di fronte alla mia assurdità, e mi ha stordito con una prosopopea infarcita di slogan corroboranti/scientifici/episcopali (“Chiunque incontri deve essere un amico per te”, “sorridi e la vita ti sorriderà”, “saper tacere al momento opportuno ti risparmia l’emissione di serotonina e le endorfine ti rendono più giovane in 10 anni”).
Quest’anno mi sento particolarmente buona, dopotutto sta iniziando un nuovo anno che peggio dell’altro non può essere, quindi perché non provare a scambiare un sorriso e a prenderla con più filosofia invece che ringhiare e grugnire ogni volta che qualcosa mi urta? Mi guardo il dvd di “Yes Man”, decido che la mia formazione è finita e che è ora di passare alla pratica. Prima tappa: la posta . Ho giusto una raccomandata da ritirare.
Visto che siamo sotto le feste, e che si parla delle Poste Italiane, ho messo in preventivo un’ora buona di attesa, e mi sono all’uopo munita di un bel librone tipo “Guerra e pace”, di quelli che ti straniano da tutto e da tutti. Infatti ho davanti a me 20 persone, tutte con la lettera L (ritiro lettere). Stavolta non intendo dare corda ai drappelli di contestatori frustrati che iniziano a protestare prima sottovoce e poi, man mano che ottengono consensi dagli altri, sempre più forte. Normalmente mi unirei a loro e lancerei anatemi contro gli statali (“a quelli mica gli scotta la sedia sotto le chiappe”), il cervellone elettronico (perché continua a chiamare la A che ancora non ho capito a cosa serve), contro Brunetta (“L’è sol bòun ed ciacàrer”) e l’umidità (dalle nostre parti è sempre colpa sua).
Mi stampo in faccia un sorriso soddisfatto, che spero lanci il messaggio: “Non serve a nulla protestare, meglio sfruttare questa attesa forzata per regalarci un attimo tutto nostro”, e non invece “Sono sotto psicofarmaci, se anche mi cadesse in testa un’incudine non me ne fregherebbe niente”.
Così facendo, tra libro, giochini sul cellulare, una sbirciatina ai gadget di cancelleria, mi accorgo che è il turno del numero L45, e io sono il 46. Già mi appropinquo al banco, perché il 45 è una cara vecchietta che ci mette 4 minuti d’orologio per percorrere un metro (stai calma, non essere irriverente, pensa quando Tu sarai così). Dopo un certo dibattere con l’impiegata stanca della vita, si scopre che la signora ha sbagliato fila: doveva prendere la lettera P (spedizione lettere e pacchi).
La vecchia “me” avrebbe protestato gentilmente ma fermamente, e avrebbe costretto la povera signora a rifare la fila giusta, con il plauso dei presenti, assetati di linciaggio, vittime e sangue.
Invece, magnanimamente (conta fino a 10, ohm , ohm, pace interiore, pensa a prati fioriti, vedrai che tutta questa positività ti ritornerà indietro), non protesto e le dico che per me non ci sono problemi, può tranquillamente fare lo stesso la sua spedizione anche se è nella fila sbagliata. Alla peggio, mi dico, dovrà spedire un biglietto d’auguri alla cugina che sverna a Sanremo.
Peccato che da una pochette microscopica (ricordarsi che adesso sono tornate di moda piccole, riesumare la vecchia Baguette di Fendi) questa tiri fuori un plico di 5 raccomandate con ricevuta di ritorno per la raccolta punti del cibo per cani.
Mi impongo di restare calma mentre con stupore si accorge di averle compilate tutte alla rovescia e comincia a riscrivere i bollettini uno per uno al ritmo di una parola al minuto.
Mentre mentalmente sto facendo a pezzettini lei e la Pùpla Grillo Parlante e le do in cibo al suo carlino (“c’è dei pezzi di ‘arne!”), l’impiegata finisce di compilargliele, più perché è quasi ora della pausa sigaretta che per pietà verso di noi, ed esco a riveder le stelle solo dopo ben due ore con un brufolo che prima non c’era.
Compongo il numero del Que Pizza togliendo l’ID chiamante e ordino 8 pizze Deluxe da 10 euro l’una, da recapitarsi direttamente a casa della Pùpla Grillo Parlante.
Lei forse non sa perché, ma io sì.

 

 
 
 
 
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