HOLIDAY
18.6.2009
Estate 1991, il diploma. La maturità vecchio stile, con le materie che te le sceglievi concordando con i compagni la giusta alternanza se no te la cambiavano all’ultimo minuto ed erano cazzi.
L’euforia e la liberazione perché hai fatto l’(esame) orale, e ormai è andata, sai che alla peggio ti becchi un 36 (sessantesimi) e chissenefrega.
Il senso di vuoto per gli stessi motivi. Una domanda su tutte: “E adesso?”
Ma avevo 18 anni, e questo momento di riflessione è durato lo spazio di un pomeriggio; era ora di organizzarsi e di raccogliere i sudati frutti di 3 anni di osservanza e devozione alle regole della casa.
Dai 15 anni in poi, infatti, avevo letteralmente represso ogni mio spirito ribelle: avevo riordinato la camera ogni sabato pomeriggio, mai fumato, mai bevuto, ero tornata a casa puntualissima senza neanche tentare le contrattazioni da suk tipiche di ogni “famiglia con teenager”, mai fatto cabò, ero sempre stata un’allieva educata e studiosa (6 e mezzo, và).
Tutto era stato calcolato con metodo e pazienza perché sapevo che sarebbe arrivato il momento in cui ottenere qualcosa in cambio.
La Vacanza Da Sola Con Le Amiche.
Non hanno potuto dirmi di no, anche perché avevo accettato di lavorare rigorosamente in nero nella fabbrichetta dello zio ricco: in fin dei conti, passare le giornate in panciolle mi annoiava, e guadagnare qualche soldino mica mi faceva schifo: questo mi rendeva indipendente e ammirevole. Degna di fiducia. Un angelo. Una santa.
Ho passato quindi un luglio terrificante a sfilare teli, recuperare falli e imbustare pelosissime maglie blu elettrico. Mi è venuta la tendinite a forza di stirare a vaporetta i colli di 350 orride giacche in 100% acrilico, e l’orchite ad ascoltare le trucidissime battute a triplo senso delle operaie o (peggio) le loro lamentele sul calo del desiderio dopo l’andropausa del marito e l’isterectomia. Ma ho guadagnato ben 900.000 lire in cambio di tutto questo, e sfido chiunque della mia generazione a dire che sono poche.
Il 03 Agosto 1991 io e altre 6 amiche siamo partite alla volta di Riccione in treno (in macchina era chiedere davvero troppo), stipate come bestie da macello, munite di valigie esagerate, walkman a cassetta (Eros, Madonna, Masini, Festivalbar… compilation artigianali preparate con settimane di anticipo), e tanta adrenalina in corpo.
Avevamo preso in affitto un appartamento grazie all’intervento pietoso di lontani parenti: forse perché eravamo in 7, forse perché eravamo a 5 km dalla spiaggia e dalla vita notturna, o forse perché la padrona di casa pattugliava 24 ore al giorno la porta e cacciava qualsiasi essere umano di sesso maschile varcasse la soglia del cortile, la quota da pagare era ridicola.
Il ricordo che ho di quell’estate è di assoluta anarchia (solo i primissimi giorni avevamo tentato per reputazione di definire turni di pulizia, cibo e bagni), litigate epocali, risate fino alle lacrime e tanta, tanta, tanta baracca. Si usciva verso mezzanotte e si rientrava soltanto alle 8 del mattino, con ancora la voglia di fermarsi in cucina a bersi una camomilla per ritemprarsi un po’. Non c’è stata discoteca, festa sulla spiaggia, Martini, sigaretta, canna, bombolone all’alba che non abbiamo fatto. Era come se in quei 20 giorni volessi riappropriarmi della mia parte più ribelle e trasgressiva. Con un ago inzuppato nell’inchiostro mi sono tatuata un bellissimo ghirigoro (voleva essere un gatto stilizzato ma mi faceva troppo male e ho smesso prima) esattamente nell’incipit della chiappa destra, piccolo, minuscolo e furbescamente invisibile persino col perizoma. (Ero stata ispirata da “Christiane F”, e direi che sarebbe potuta andare molto molto peggio…)
Siamo tornate a casa esattamente 20 giorni dopo, più magre e musnente, con le valigie ancora più esagerate perché la roba lavata nel bidet e appallottolata pare che tenga più posto di quella pulita da mammà e piegata in ordine di colore. Esteriormente ero la stessa persona che era partita, ma dentro ero pronta a diventare adulta e lanciarmi nel crudele e cinico mondo universitario, seppure con la voglia di tornare ancora per un po’ la figlia obbediente (perché obbedire è più facile che pensare) (Don Milani e Mao).
Oggi ho guardato le stesse amiche di allora (quelle sopravvissute che ce la fanno a venire al bar una volta alla settimana nonostante mariti, figli, fidanzati e carriere).
La più carica andrà in Spagna a congelare gli ovuli.
Sic transit gloria mundi. (no, non si chiama Gloria)