DE PROFUNDIS
30.4.2009

Tutte noi ex “Ugly Betty” avevamo un bellone che popolava i nostri sogni.  Sogni molto infantili, tipo copertina da romanzetto rosa dove lui (a torso nudo) ci stringeva virilmente e con lo sguardo prometteva cose turche, mentre noi (con i capelli fluttuanti e le scollature strategiche) ci abbandonavamo tra le sue braccia verso la resa finale, in un tripudio di metafore più o meno spudorate.
Lo avevamo soprannominato DRAGO (o talvolta anche MITO), che si distingueva dal MAGO perché il MAGO è bello e basta, mentre il DRAGO è pericolosamente intrigante e misterioso (e pure un po’ fetente) (erano i tempi di “Teorema”).
Più che il solito bello della scuola, che incontravamo bene o male tutti i giorni e che quindi in qualche senso ci appariva più raggiungibile, il nostro super bellone non si faceva vedere molto in giro. Tecnica studiata a tavolino? Fine strategia di self promotion? Scuola diversa? Qualunque fosse il motivo, non so perché ma il suo nome circolava molto più di lui, tant’è che avevo imparato che lui sarebbe stato il nostro DRAGO ben prima di avere ben chiara la sua fisionomia. Quasi come se sapesse che questo centuplicava l’effetto della sua presenza, e anzi la avvolgeva in un’aura misteriosa che (superfluo!) accresceva il suo appeal, lui letteralmente centellinava le sue comparsate che erano ben poco abitudinarie (tanto per disorientarci di più). Difficilmente lo si trovava “al solito posto” “alla solita ora”: quando faceva la sua entrata trionfale, i respiri femminili cessavano per un attimo e circa 40 paia di occhi studiavano ogni possibile tattica per catturare i suoi.
Non aveva un look particolarmente trendy o alla moda: che arrivasse in pizzeria di giovedì (sera dell’allenamento in cui la più elegante tra noi era quella col ciappo in finta tartaruga e non verde pisello) in jeans e maglietta, o che si presentasse alla festa di Capodanno con il frac e i capelli (neri, folti, lucidi, geneticamente programmati per essere privi di forfora o sebo) raccolti in una coda (chiunque altro sarebbe stato tamarro, ma non lui), gli sguardi gli si buttavano addosso.
Da quel che si vedeva, non era un gran sciupafemmine: ogni tanto, al suo fianco appariva una ragazza che diventava oggetto di invidie o quantomeno di scansioni ai raggi X: fortunatamente, scompariva sempre piuttosto velocemente; qualche accidente doveva essere andato a segno.
Qualche temerario detrattore lo tacciava di assoluta pochezza, di poco spessore, di essere un bel manichino, poco virile, e forse aveva anche un po’ ragione, ma questi invidiosi non hanno capito che per noi ragazze vederlo era come vedere un divo del cinema: assaporavamo fino all’ultimo la perfezione dei suoi lineamenti e sognavamo di rotolarci con lui su una spiaggia tropicale con il tramonto alle spalle, così come si farebbe con George Clooney: le nostre vite, fortunatamente, proseguivano per la loro strada, senza che una sbavatina ogni tanto ne intaccasse il corso normale.
Certo, se per caso il suo sguardo incrociava il mio e vi si soffermava per più di 10 nanosecondi, mi piaceva pensare che non fosse perché stava cercando i suoi amici seduti dietro di me, ma perché mi aveva notata tra tutte le persone del locale e si stava chiedendo chi fossi, io, “Donna Del Mistero Con L’apparecchio Ai Denti E Gli Occhiali”.
Nessun mio fidanzato o nemmeno morosino, però, è stato mai privato di mie attenzioni a causa sua, tantomeno ho perso più di 5 minuti a chiedermi cosa stesse facendo o chi stesse frequentando.
Non tanto tempo fa me lo sono trovata a un evento abbastanza ristretto di persone: le mie insicurezze adolescenziali erano ben lontane, l’apparecchio ai denti scomparso, gli occhiali da vista rimpiazzati da lenti a contatto morbide a prova di piscina e di mascara allungante. Avrei potuto sfruttare l’occasione di parlargli, di interagire con lui, se non altro di andare un po’ più a fondo e trovare conferme alle mie aspettative.
Ma poi ho avuto paura di restare delusa, se non altro perché gli avrei dato una concretezza che in ogni caso lo abbruttirebbe e me lo metterebbe al livello di tutti gli altri. Ho temuto anche che mi guardasse con sufficienza e mi facesse sentire invisibile, e questo non l’avrei potuto reggere, dopo che ho raggiunto così faticosamente una dignitosa visibilità sociale.
Ho saputo che si è sposato, che ha avuto dei bambini, ma questo non avrebbe interferito più di tanto, tant’è che non avevo intenzioni seduttive, ma puramente cognitive e quasi scientifiche, se non che, mentre mi avvicinavo a lui a grandi falcate da pantera, ho appurato che adesso vive a Sassuolo, e ho rapidamente ripiegato sul buffet. Dopo tutto, perché svelare troppo? Perché fargli perdere la sua allure?
Se proprio proprio non resisto, posso sempre decidere di ripiastrellare il mio bagno. E quello delle mie amiche. E di tutte le carpigiane “thirtysomething” che appena sentono pronunciare il suo nome assumono un’aria beata, sospirano e (talvolta) svengono.

 

 
 
 
 
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