LA PROVINCIALE
5.02.2009

Non mi piacciono le domeniche: non sopporto la lentezza delle giornate passate a far venire sera, la pesantezza del dopo pranzo e la tristezza dei negozi chiusi (a proposito.. perché?).
Mi impongo quasi sempre di non lasciarmi impigrire, e parto alla ricerca di città con eventi, mostre, negozi aperti, giusto per stare in mezzo al movimento, alla gente, a qualcosa! Voglio dire, trovo assurdo che se si resta senza pane o senza calzini di domenica, non ci sia modo di uscire e andarseli a comprare: visto il pienone che c’è in giro nelle rare aperture domenicali, credo che i negozi, invece che piangere miseria e urlare alla Grande Crisi, dovrebbero davvero prendere in considerazione l’idea di tenere aperto d’ufficio nei giorni festivi. A Carpi però le cose non sono ancora molto cambiate, e obtorto collo mi ritrovo ad aspettare con ansia i lunedì, perché si riprende il lavoro, il tran tran, lo stress, ma almeno la vita ricomincia a scorrere ai ritmi che piacciono a me!
A dirla tutta però non è sempre stato così: c’è stato un tempo in cui la mattina della domenica mi svegliavo con calma ma non tardi, e ciondolavo per casa con una tazza di caffelatte; adoravo studiare ancora in pigiama, perché mi faceva sentire molto diligente e di buona famiglia. Dopo circa un’ora e mezza, iniziavo a prepararmi per andare a Messa alle 12. Lì spesso incontravo gli amici già svegli e se ero fortunata mi capitava di scambiare la pace con quello che un po’ mi piaceva.
Il pranzo domenicale era un vero e proprio attentato a tutti i buoni propositi se non di dieta, di regime alimentare equilibrato: da qualsiasi nonna o zia fossi ospite, era impossibile riuscire a limitarsi a un unico primo, a rifiutare le patate al forno, e, verso le 4 del pomeriggio (ora in cui generalmente terminava questa maratona gastronomica) a dire di no alla zuppa inglese, alla torta di tagliatelle e (meraviglia!) alle paste. L’inventore della dieta dissociata non può essere emiliano, tantomeno carpigiano e sicuramente non ha mai messo piede da Mailli!
Dopo la Messa ci si accalcava dentro la pasticceria (in Corso Fanti) e si aspettava con non troppa pazienza il proprio turno; con le coscienze pulite dall’assoluzione, ci si sentiva in diritto di sbottare verso chi tentava di passare davanti, o ci metteva troppo per decidere se preferiva tre spumini e quattro italiane piuttosto che una diplomatica o quattro cannoli.
La Pierina (una Lucile Ball versione bionda) serviva tutti con piglio piuttosto deciso, supportata da qualche ragazzina terrorizzata e schiavizzata la cui durata massima poteva essere 4 domeniche, non di più (forse anche a causa del carattere burbero del Signor Mailli che dal retro sbucava solo per portare vassoi stracolmi di dolci senza che la sua espressione incazzata subisse alcun mutamento).
Mailli era la tipica pasticceria fin de siecle, con il bancone bombato, le alzatine, il reparto dei mignon e i contenitori di caramelle allo zucchero e al tamarindo. Non era come le pasticcerie di adesso che sono di sicuro più ampie, spaziose e luminose, ma unicamente finalizzate alla vendita: da Mailli c’era il bancone bar, qualche tavolino, in modo che chi entrava potesse anche prendersela comoda e sedersi a prendere una spuma, un caffè o una cioccolata calda senza l’assillo di perdere il turno. Ogni volta che ci ripenso o che vedo una pasticceria sul genere, non posso non ripensare a Gianburrasca, con i suoi confetti (nozze Maralli-Stoppani), la crema alla cioccolata e vaniglia, le gelatine rosse e gialle, i diti con la crema e soprattutto i panini gravidi.. tutto un mondo in cui non esistevano i 4 Salti in Padella e ancora si capiva che giorno era da quello che veniva servito in tavola, in cui si passavano i pomeriggi assonnati e digestivi davanti alla televisione, con Corrado e Dora Moroni che presentavano Domenica in e Paolo Valenti che commentava i goal.
Mailli adesso è in Via Duomo ed è un po’ più sacrificato, ha tentato di mantenere l’abbinata bar/pasticceria e devo dire che riscuote sempre il solito successo, nonostante la scarsità di parcheggi (certo che se abiti in centro la macchina mica la prendi…) e il cambio di gestione (mi piace pensare alla Pierina in una spiaggia assolata a godersi la meritata pensione). Confesso che anche io qualche domenica non disdegno di passare da lì a prendere qualche meringa dopo l’aperitivo al Bar Teatro (e una capatina veloce a Messa): adesso che la Santanchè proclama a gran voce di essere rimasta la ragazza di provincia di sempre, mi sento anche più trendy del solito..

 
 
 
 
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