STILE E STILETTATE
25.09.2008


Sono una brutta persona: nonostante tenti di camuffarlo perché non è politicamente corretto, sono un’inguaribile snob. Se le occhiate per traverso, il naso arricciato, il sopracciglio inarcato e la bocca alla Elvis avessero una violenza fisica, alcuni sciattoni che incrociano il mio sguardo sotto i portici sarebbero lividi.
Ho provato in tutti i modi a mortificare la mia vanità: del resto non faccio parte di quell’elitè di carpigiani che possono permettersi di sfottere apertamente chi è fuori dal loro giro. Ho quindi spesso voluto far tacere quel tarlo che ogni tanto mi rode, e ho provato ad integrarmi in ambienti che mi aiutassero a rendermi una persona più attenta al contenuto piuttosto che al contenitore.
Non posso non menzionare il primo tra questi vani tentativi: lo scoutismo, grande e incomparabile scuola di vita: lì in teoria non avrebbe dovuto esserci spazio per i miei virtuosismi modaioli, ma capisco solo ora che inconsciamente lo colsi come una sfida.
La divisa invernale (o infernale, a seconda dei punti di vista) era composta da: camicia in cotone spesso 3 mm color azzurro intenso, che smorzerebbe anche Heidi e i suoi pomellini rossi, ovviamente a tenuta stagna, così che al suo interno la sinergia tra sudore e ormoni al galoppo creasse un microclima tropicale; maglioncino in acrilico finezza 1, che al primo sentore di umidità padana si infeltriva e emanava olezzi interessanti; gonna pantalone di velluto blu lunga giusto fino a metà polpaccio, che troncava sul nascere qualsiasi pensiero sconcio e qualsiasi velleità un’adolescente più che normale potesse avere. Ben poche concessioni erano riservate alla divisa estiva: la camicia era la stessa, ma a maniche corte, mostruosamente simile alle camicie degli impiegati nella Silycon Valley, oppure, grande vittoria degli anni 90, la polo azzurra assolutamente no brand. Ma questo non mi ha fermato. Per ravvivare il colore della camicia e della polo, mi sono impegnata a fondo per prendere quante più specialità possibili. Per chi non lo sapesse, ogni specialità acquisita in seguito a prove massacranti veniva certificata con un piccolo distintivo molto grazioso da applicare sulla camicia. Sono diventata infermiera, segnalatrice, liturgista, attrice, fotografa, osservatrice, canterina.. mi hanno però dato un freno quando ho cercato di spacciare il coccodrillo della Lacoste per la specialità “amico degli animali”. Ho accorciato la gonna pantalone fino al livello di decenza permesso dalla parrocchia, e ho sfidato i Grandi Capi quando, invece dei calzettoni modello suora laica, mi sono presentata con i collant blu e alla caviglia un paio di graziose calzine in tono con appena un accenno di pizzo bianco. Ai piedi un paio di Superga blu completavano l’insieme che forse era un po’ troppo collegiale e troppo poco scout. Poco conta la favolosa arringa in mia difesa quando, richiamata seccamente all’ordine per l’ennesima volta, buttai lì’ che io semplicemente rendevo il concetto di “stile scout” solo più accessibile e globale: dopo anni di militanza e grandi conflitti interiori, mi diedero l’ultimatum: o la Piazza, o noi. “La sventurata rispose”. E me ne andai al Bar Del Corso.
Attività parrocchiali, di volontariato, sinistra giovanile: potrei dire di averle via via vissute tutte, con esiti talvolta esilaranti perché alla fine il mio vero “io” usciva allo scoperto. Anche se, a dire il vero, col senno di poi non mi sembra di essere stata così blasfema quella volta che, dopo aver imparato che avremmo digiunato per 24 ore di Venerdì Santo, ho osato dire al diacono: “Meno male che ho appena fatto la Comunione”. E quei bellissimi cappottini vintage destinati alla Caritas erano troppo stretti di spalle e troppo freddi per poter essere apprezzati da chi d’inverno il freddo lo patisce davvero. Sulla sinistra giovanile non posso dire di averla proprio frequentata: dopo aver visto l’effetto su di me dell’Eskimo e della Kefiah delavè, sono fuggita ululando e mi hanno trovato in stato confusionale nei camerini di Della Martira mentre chiedevo perdono a un cappottino di Sarah Jackson.
Sì, per me l’abito fa il monaco. Vorrei tanto poter essere di quelle menti superiori e illuminate secondo cui il mondo non gira così, ma, cito Umberto Eco: “ nemmeno a un hippie piace aver caccole di piccione sulla giacca”. Soprattutto se la giacca è di Anna Sui.

 
 
 
 
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